Il cerchio si chiude: contenuti gratis in cambio di pubblicità. Sostenibile, stavolta.

Qualcuno ci aveva già provato in passato, senza troppo successo e così, dal free del boom internettiano (a pagare, all’epoca, i venture capitalist e i soldi chi aveva strapagato le azioni in Borsa.. non certo gli investitori pubblicitari) si era passati all’epoca del fee: contenuti sì, ma a pagamento.

Poi l’annuncio del New York Times, che ha deciso di rendere gratuita in ogni sua parte l’edizione on line, compresa parte degli archivi.
Si segna così una svolta in questo mercato: il giornale americano rinuncia così agli abbonamenti, che pure gli portavano 10 milioni di dollari all’anno (alcune sezioni erano accessibili infatti ai soli abbonati, a fronte di 49,95 dollari all’anno) contando sul fatto che gli introiti pubblicitari compenseranno le perdite.

E’ una svolta, certo. Una svolta che, inutile nasconderlo, è resa possibile dall’avere un modello di pubblicità on line che funziona, che piace, che è sostenibile. Parlo di Google Ads, la piattaforma che ha rivoluzionato il mondo della pubblicità on line dimostrando che la disintermediazione funziona, che gli inserzionisti hanno risultati certi e che anche i piccoli editori on line possono guadagnare dalla pubblicità. E’ grazie a Google se il mondo del Web riesce ad attirare una sempre maggior fiducia degli investitori pubblicitari, scottati dalla “gnueconomi”: da allora sono rimasti alla finestra in attesa di vedere qualcosa che funzionasse. Adesso c’è.

Non solo sul Web, ma anche sul mobile: oggi parte in tutto il mondo il servizio mobile di Google, chiamato AdSense for Mobile. Esattamente come accade sul Pc, chi ha un sito accessibile da dispositivi mobili può guadagnare qualche centesimo per ogni click.

Tornando alla decisione del NYT, la chiave di lettura b-side – il rovescio della medaglia – è che il modello del fee sembra non poter competere con il free. Non è chiaro insomma se la scelta del New York Times sia dovuta all’insuccesso della versione pay o al potenziale successo della versione free. Probabilmente sono vere entrambe: 10 milioni di dollari l’anno sono una discreta somma, ma sono nulla se il potenziale della pubblicità on line con pagine gratuite è superiore ai 10 milioni. Una riflessione che dal Web si estende alla carta stampata: la qualità dei quotidiani potrebbe non bastare a sopravvivere alla free press?

Il General Manager del NYT, Vivian Schiller, dà un’ulteriore chiave di lettura: la diffusione di testate on line gratuite (e che vivono di pubblicità), di blog, della free press ha reso disponibile all’utente un enorme bacino gratuito di informazioni. Emergere dalla massa con notizie di qualità a pagamento non era più possibile, specie considerando che in quella massa ci sono anche fonti di qualità gratuite (magari difficili da trovare, ma pur sempre presenti).

Infine, sembra resistere il modello pay per i giornali finanziari. Il Wall Street Journal fattura qualcosa come 65 milioni di dollari, segno che l’informazione finanziaria ha un pubblico disposto a pagare. Business is business…