Ok, lo ammetto. Tra lavoro, social, pagine Facebook da amministrare, le elezioni amministrative e relativi impegni… ho per troppo tempo trascurato questo blog, la mia piccola casa.
Mi sono accorto che non è venuta meno la voglia di scrivere, e di produrre contenuti per amici, conoscenti, lettori casuali. Semplicemente per quaslche mese (anno?) l’ho fatto ovunque in giro per la rete ma non qui.
Ecco: con questo post vorrei segnare la (ri)nascita di questo piccolo spazio digitale per prendere appunti su quello che succede attorno a me, a noi, e averne una traccia scritta per poterne discutere, adesso o in futuro.
Per cui se vi va rimanete sintonizzati: con frequenza assolutamente casuale ma quanto più possibile assidua, questo blog tornerà a popolarsi di contenuti. Inizieremo nei prossimi giorni con una riflessione sulla strategia di acquisizione abbonati dei giornali on line.
E voi, avete argomenti particolari che vorreste veder afforontati e di cui vi piacerebbe discutere?
Ognuno di noi darebbe per scontato che il numero di incidenti stradali sia dimunuito durante la pandemia, essendo crollato il traffico. Invece no, almeno non negli Stati Uniti.
Secondo i dati rilasciati dalle autorità federali americane, i morti per incidente stradale sono cresciuti del 10.5% (paragone tra primo trimestre 2021 e 2020). La “colpa” di questo incremento è dei motociclisti: la velocità media delle moto, complice il traffico di auto crollato, è cresciuta portando ad un maggior numero di incidenti mortali.
Secondo la società specializzata Arity nel rapporto Life in the fast lane, circa 1 miglio su 20 viene guidato a velocità superiori alle 80 miglia per ora (circa 100 chilometri per ora). Il tempo passato ad oltre 80 mph è del 10% superiore all’anno precedente. il 42% delle miglia guidate ad oltre 80 mph avviene di notte.
Complice la maggiore velocità e il minor traffico, il numero di morti per incidente d’auto è cresciuto: a luglio 2020, seconda NTSHA, negli Stati Uniti sono decedute circa 37mila persone, una crescita del 7.2% dal 2019 e la più alta degli ultimi 13 anni. Incrociando i dati di Arity e quelli di NTSHA, il 2021 non promette nulla di meglio…
Prendo come esempio Lexus, il marchio premium di Toyota, ma temo che molte altre cause automobilistiche abbiano lo stesso problema: una disconnessione pazzesca tra il marketing della casa madre e i rivenditori sul territorio. A farne le spese, i clienti.
Prima di andare ai dettagli di quanto successo a me, un breve ripasso della catena del valore automotive: la casa madre produce un’auto, che poi vende ad un concessionario, che poi vende al cliente finale. Il concessionario è una società indipendente (solo in rari casi – ad esempio i cosiddetti flagship store – chi lavora in concessionaria è anche dipendente del costruttore), che segue direttive della casa madre, ma che è responsabile dei risultati economici di impresa. Vendere o non vendere è insomma il mix tra quanto la casa madre produce e pubblicizza e quanto il concessionario è bravo nell’attività di vendita.
Tornando a Lexus, un mese fa vedo una pubblicità sulla nuova NX su Facebook e curioso compilo il form di contatto: nome cognome email numero di telefono. Passa tempo e nulla, lascio un commento sotto la pubblicità e l’account social di Lexus mi dice “se sei interessato prova a ricompilare il form“. Strano no? Spendono tanti soldi in Facebook Adv, collezionano dati preziosi di persone interessate e non si preoccupano del fatto che un cliente potenziale che aveva già lasciato i dati non sia stato contattato.
Ok, ricompilo il form (ma nel famoso “funnel”, gli indecisi avrebbero lasciato perdere) e stavolta dopo qualche giorno mi ricontattano. Confermo il mio interesse a ricevere informazioni e fisso un appuntamento virtuale con il venditore della concessionaria di zona. Nel mentre sono gentile facendomi profilare: che budget ho in testa, che concorrenti sto valutando, e così via.
Ci accordiamo per ora e giorno, mi arriva una mail di conferma e insomma sembra tutto ok. Certo, curioso che dopo oltre un anno di pandemia il sistema sia ancora “disegnato” per una visita fisica in concessionaria. Mail automatiche e comunicazioni parlano di appuntamento in concessionaria. La gentile persona al telefono mi dice “ci sarà scritto che l’appuntamento è in concessionaria ma lei ignori, sappiamo che avverrà via telefono“.
Arriva il giorno dell’appuntamento, ma nessuno si fa vivo. Il telefono non squilla, la mailbox rimane vuota. Il venditore si sarà dimenticato di me? Avrà di meglio da fare che contattarmi all’ora prevista? Dovrei essere io a inseguirlo, perchè in fondo quello che vorrebbe capire quanto costa l’auto sono io?
Morale: Lexus depennata dalla lista di potenziali auto da acquistare. Vediamo se con altri marchi va meglio.
E’ chiaro che il sistema è rotto, o comunque ha ampi margini di miglioramento. Tagliandola con l’accetta, nel mondo dell’auto circa un preventivo su tre si trasforma in acquisto: più preventivi fai, più pauto vendi. Immaginate allora l’intero funnel: catturare l’attenzione con pubblicità (milioni di impression), convincere il potenziale cliente a lasciare i dati (decine di migliaia di richieste), richiamarlo e convincerlo ad andare in concessionaria o a dedicare tempo per una telefonata (migliaia di persone), fare un preventivo (migliaia o centinaia di persone), arrivare al contratto firmato (un terzo dei preventivi).
Ogni singolo contatto lasciato per strada significa sprecare soldi, e intaccare la fiducia nel marchio. Comprereste da qualcuno che già nella fase di acquisto – tipicamente la luna di miele nel rapporto cliente-fornitore – non si dimostra attento e professionale? Che fiducia riponete in un marchio e in una rete di vendita che sembra ti faccia un favore a farti un preventivo?
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