Ad occhio oggi ogni quotidiano ha dedicato almeno un paio di pagine alla discussione sulla nuova legge Gasparri. In sinstesi, i punti salienti sono:

– una rete di Rai, Mediaset e Telecom Italia Media dovrà andare entro il 2008 (pardon, entro 15 mesi dall’entrata in vigore della riforma) solo su digitale terrestre
12mila frequenze circa verranno liberate, ma non torneranno nella disponibilità dello Stato: dovranno essere vendute da chi le ha ora a nuovi soggetti
– entro fine novembre 2012 ci sarà lo switch-off, addio analogico
– ogni editore tv non potrà rastrellare più del 45% di pubblicità complessiva, sono previste sanzioni per chi sfora.

Iniziamo da un fatto curioso e allo stesso tempo significativo: nessuno parla di “legge Gentiloni”, dal nome del ministro che sta portando avanti la proposta, ma tutti parlano di “modifica alla legge Gasparri”.

Devo ancora capire se è un tentativo del Governo di convincere il centro-destra ad accettare le modifiche (in tal caso, tentativo fallito: Berlusconi ha parlato di “banditi”, Confalonieri di “mazzata”) oppure se la ex legge Gasparri è ritenuta dal centro-sinistra una legge tutto sommato accettabile, una volta che saranno passate le modifiche.

Come sempre lucide le osservazioni di Luca:
La vendita forzosa non è mai una soluzione di mercato. Sarà un problema comprare. E soprattutto stabilire il prezzo. Lo stato è il proprietario ultimo delle frequenze ma in questo modo non potrà godere del “dividendo digitale”. Ne beneficeranno i venditori o i compratori, ma non lo stato. Evidentemente Gentiloni ha deciso di accontentarsi.

Il passaggio al digitale, con la liberazione delle frequenze, aprirà nuovi spazi. Nuovi editori potranno approdare al business della televisione. Chi saranno questi novelli cavalieri? Editori italiani già attivi? Imprenditori desiderosi di mettere un piede in un mercato ricco? Televisioni straniere che vogliono una fettina del mercato italiano? Prestanome che comprano per poi eseguire le volontà di chi ha forzosamente venduto?

In attesa di capire a chi andranno le frequenze liberate, rimane sullo sfondo un secondo problema: ok, digitale significa più canali, ma i contenuti? Cosa facciamo di questi nuovi canali, li riempiamo di reality show? Oppure di programmi finto-culturali che già oggi sul digitale terrestre rastrellano le briciole di pubblico lasciate dagli altri canali?

E la pubblicità? Per vivere un canale televisivo deve vendere spazi pubblicitari: davvero alla moltiplicazione dei canali corrisponderà un aumento della raccolta pubblicitaria? Mediaset oggi è al 50%, il tetto della “nuova Gasparri” è del 45%. Se il Biscione perde il 5-7% (e ammettiamo che Rai ne perda il 3-5%), quel 10% di raccolta pubblicitaria liberata basterà a mantenere in vita 10-20 nuovi canali? Ovviamento no.

Che faremo, avremo 5-6 soggetti in pay-tv? Vada per pagare 50 euro/mese a Sky, ma se il modello si moltiplica che si fa, si pagano 300 euro per avere 5-6 simil-Sky? Ci si abbona ad un solo bouquet? Sparisce la tv generalista gratuita?

E già gli editori della carta stampata reclamano una fetta del ricco mercato pubblicitario televisivo.

Le incognite, insomma, non mancano. Questo non significa che sia sbagliato evolvere, il sistema tv attuale è un duopolio generalista con un paio di realtà di nicchia in crescita costante (TI Media, Sky) e un paio di debuttanti. Di certo non è un mercato libero: Gasparri per difendere la propria legge insiste col dire che ci sono talmente tanti attori che non esiste oligopolio. Dimenticandosi ad esempio che esiste una televisione (Rete4) che trasmette su frequenze non sue.

Per farlo cita, oltre a Rai e Mediaset, anche TI Media, Sky, Fastweb e…udite udite… 3 (che ha una licenza per tv digitale benchè ad oggi trasmetta solo su tivufonino) e Vodafone (citata perchè userà il 25% del Mux Mediaset per DVB-H o perchè ha stretto accordo con Fastweb e Sky???). La forza di un editore televisivo non si misura certo nella mera presenza, ma dall’audience e dalla raccolta pubblicitaria. Chi glielo spiega all’ex ministro?