Ringrazio Riccardo Luna perchè, citandomi, mi dà l’occasione di tornare su un argomento che mi sta a cuore e su cui non ho ancora avuto modo di raccogliere, in un unico posto e post, la mia visione sulla gestione della figura del Digital Champion in Italia. Lo faccio ora. Un post che serve a me in primis per fissare le idee e ripartire con proposte concrete.

Parto dallo spunto, ovvero dalle parole del Digital Champion italiano:
“E forse non sapete che a Genova è arrivata una lettera che mette in rilievo potenziali rischi, errori e problemi del progetto appena partito. La lettera la firma una persona piuttosto nota nell’ambiente digitale italiano: Massimo Cavazzini. Non credo di averlo mai incontrato ma è come se ci conoscessimo perché è dal 2008, quando venni incaricato di fondare Wired Italia, che me lo trovo di traverso su qualunque cosa faccia. Pazienza, va bene così. Non mi interessa personalizzare o polemizzare. Mi interessa crescere.”

Delle due l’una: o Luna non ha fatto molto negli ultimi anni, oppure il “me lo trovo di traverso su qualsiasi cosa faccia” è la solita trita, triste e populista affermazione senza fondamento. Che è una tecnica assai usata nella retorica calimeriana del “ce l’hanno tutti con me”, come vedremo in seguito. A memoria – ma se ci sono evidenze diverse, ben venga chi le porta al tavolo della discussione – la critica che riguarda Wired è una sola: l’operazione “Nobel per la pace a Internet” come operazione di marketing per avere visibilità e ritorni, a cui ho dedicato questo e questo. Il primo spiega le ragioni per cui ritenevo quella campagna tanta fuffa a favore della rivista e del suo direttore, anzichè una vera campagna sociale. Il secondo risponde ad un’attacco diretto che Luna aveva fatto a Mirko Pallera e al sottoscritto (a proposito del “Non mi interessa personalizzare o polemizzare.”).

Se poi il Nostro vuol anche raccontare come aveva cercato di manipolare quel post con diverse telefonate ai “piani alti” dell’azienda in cui lavoravo all’epoca, può farlo: ancora oggi quelle telefonate mi fanno capire quanto la non-abitudine al confronto pubblico – magari aspro ma sempre educato e ragionato – possa creare distorsioni evidenti della realtà (ah, Riccardo, ne approfitto per dirti che il nome del blog si pronuncia “telco ai” da telco e eye – occhio – e non “telcoi” come dicesti al telefono al mio capo dell’epoca).

Nient’altro, sebbene su Wired ce ne fosse da dire molto: il più grande investimento pubblicitario degli ultimi 30 anni in termini di budget – chiedete le vere cifre a Condè Nast e rimarrete sbalorditi da quanto hanno investito per il lancio della rivista italiana – con uno dei migliori marchi dell’editoria mondiale sprecati in tre anni. Bruciati. Polverizzati. Buttati alle ortiche. Una base clienti pazzesca (con un abbonamento pluriennale sostanzialmente regalato, un battage pubblicitario enorme e un prezzo di lancio bassissimo) insoddisfatta e dissolta.

E poi, la seconda volta “di traverso”, quella di Genova. Il progetto è annunciato in pompa magna dal Comune di Genova con tanto di presentazione ad hoc del sito. Scrivo in privato al responsabile del Comune Gigliola Vicenzo per far presente alcune perplessità e l’invito a chiarire meglio alcuni aspetti, e vengo invitato a inviare pubblicamente le osservazioni.

Cosa che faccio:
La prima domanda è quale sia la natura della collaborazione tra i dipendenti comunali che formano il gruppo di lavoro e le persone indicate come Digital Champions Team: è un rapporto di lavoro? Di collaborazione su base volontaria? E’ un progetto misto con contributo pubblico?

Sebbene la carica di Digital Champion di Riccardo Luna sia una figura istituzionale, non mi risulta che tale figura sia ‘replicabile’ su scala locale. Mi chiedo dunque quando scrivete “Enrico Alletto, Digital Champion di Genova” a quale figura fate riferimento e da quale normativa sia regolata tale figura. Mi pare di aver capito che esiste un’associazione privata con un nome che in maniera ambigua richiama la figura istituzionale del Digital Champion, aggiungendo una ‘s’ al finale: confermate che il sig.Alletto è un socio di tale associazione e ha ricevuto dal direttivo dell’associazione Digital Champions un mandato di rappresentanza per agire in nome e per conto dell’associazione stessa? Ovvero confermate che nell’esplicare le funzioni da dipendente pubblico, la dott.ssa Vicenzo ha collaborato con una persona in grado di rappresentare l’associazione Digital Champions? Nello statuto dell’associazione non c’è traccia di tale facoltà, ma sono certo che con un semplice accesso agli atti all’archivio del Comune di Genova tale documento di delega sarà disponibile a tutti i cittadini che lo vogliano vedere. Potete per favore indicare gli esdtremi del protocollo?

Premesso poi che, se intendo bene quanto è scritto sul sito, c’è un gruppo di lavoro misto che si occupa del progetto con un impegno anche di dipendenti pubblici (tempo e dunque denaro), la seconda domanda che vorrei porre è quale sia il bando che regola l’affidamento di tale progetto al “Local Digital Champions Team”(locuzione che per altro al momento mi è sconosciuta: sono cittadini? sono soci di un’associazione? quale e con che ruoli in tale associazione?). E’ stato effettuato un bando pubblico o si tratta di affidamento diretto? O è un semplice patrocinio del Comune?

Infine, poichè il recente parere della Corte dei Conti, Sezione Regionale di controllo per la Lombardia, 11 maggio 2015, n. 192 ha ribadito che anche nell’attività di volontariato prestato da soggetti a titolo individuale serve dotare gli stessi volontari di una copertura assicurativa contro infortuni e malattie connesse allo svolgimento dell’attività e per la responsabilità civile, volevo sapere se tale copertura è stata messa in atto per tutelare il Comune e le persone coinvolte a vario titolo nel progetto.

Infine, qualche domanda più pratica: come mai il sito non ha l’indicazione del titolare (manca la Partita Iva, ad esempio)? Dove sono la cookie policy e l’informativa privacy? Il sito è del Comune di genova o di un privato? Chi risponde dei contenuti pubblicati e della mancanza dei requisiti di accessibilità previsti dalla legge?

Mi scuso per la prolissità, ma data l’importanza del tema credo sia necessario fare con urgenza chiarezza sul progetto, per evitare equivoci che possono portare ad interrogazioni in sede di Consiglio Comunale e ad interventi della Magistratura competente per verificare la congruità dell’operato delle persone coinvolte, specie come rappresentanti della PA e dunque sottosposti a norme specifiche.

Come vedete, sono tutte domande molto specifiche, senza alcuna vena polemica, senza alcun giudizio di sorta. Le risposte le potete leggere qui. Sono tutt’altro che specifiche ed esaustive. Permettono però di trarre alcune conclusioni relative al progetto:

– il Comune di Genova ha discusso con un gruppo di persone (“Digital Champions Team”) che sono soci di un’associazione privata denominata Digital Champions, fondata da Riccardo Luna et alia e casualmente (?) dal nome molto molto molto simile ad una carica istituzionale (Riccardo Luna dovrebbe essere – non ho trovato in rete il decreto di nomina – consigliere speciale del Presidente del Consiglio). Queste persone NON sono riconducibili alla carica istituzionale Digital Champion, nè hanno avuto formalmente un mandato di rappresentanza dall’Associazione Digital Champions, per cui a meno di evidenze diverse non possono agire in nome e per conto dell’associazione. In altre parole, il Comune di Genova pensava di parlare con qualcuno di diverso, oppure ha parlato con privati cittadini che si sono autonominati “Digital Champions Team di Genova”, ulteriore confusione in una già confusa alternanza tra Digital Champion e Associazione Digital Champions. Il tutto formalizzato e pubblicizzato ampiamente su siti e comunicati stampa (lo avrà scritto per caso la socia Digital Champions Daniela Ameri di “Ameri Comunicazione“?). Lo stesso Comune di Genova non spiega chi sia il “Digital Champions Team”.

– Gigliola Vicenzo indica i soggetti come “soci promotori” – carica non presente nello Statuto dell’Associazione Digital Champions – e chiarisce che sarà (futuro) firmato un protocollo con l’Associazione Digital Champions (a ribadire che fino ad oggi non c’è nulla di formale e concreto).

– Gigliola Vicenzo indica “il sig.Alletto referente dell’Associazione Digital Champions a Genova”, contraddicendo quanto affermato prima: se c’è un referente di un’associazione, esiste un mandato per agire in nome e per conto dell’associazione. Eppure tale mandato sembra non esista, dunque c’è un rappresentante senza potere di rappresentanza. Ottimo.

– partito il progetto, i “Digital Tutor” parteciperanno “in forma gratuita e volontaria”. La Corte dei Conti ha chiarito che anche facendo volontariato per una Pubblica Amministrazione serve una Convenzione fra ente pubblico e organizzazione di volontariato – iscritta da almeno 6 mesi nei Registri di cui all’art. 6 della Legge 266/1991 – e facendosi carico delle coperture assicurative a favore dei volontari, atteso che il comma 3 del menzionato art. 7 prevede espressamente che questi oneri siano a carico dell’ente con il quale viene stipulata la convenzione. L’associazione Digital Champions diverrà un’associazione di volontariato iscritta ai Registri di cui all’art. 6 della Legge 266/1991? Oppure ci saranno altre associazioni già presenti sul territorio che porteranno avanti il progetto? Ecco la contraddizione: si vuol siglare un protocollo d’intesa tra l’Associazione Digital Champions e il Comune di Genova per attività di volontariato, senza che al momento l’Associazone Digital Champions sia iscritta negli appositi Registri. Oppure, si vuol fare un progetto con associazioni di volontariato iscritte ai registri, ma allora perchè il protocollo d’intesa dovrebbe essere firmato con l’Associazione Digital Champions? Misteri…

la formazione dei Digital Tutor: chi la fa, di cosa parla, a che titolo, con che titoli, saranno formatori abilitati, saranno scelti dal Comune, saranno dipendenti del Comune, saranno soci di Associazione Digital Champions, saranno formatori professionisti, lo faranno gratis, lo faranno a pagamento? Non si sa, è tutto un “vedremo”… sempre per la massima trasparenza.

– il punto sulla mancanza di indicazione di titolare, partita IVA, accessibilità è ad oggi totalmente disatteso: in sostanza il Comune ha pubblicato un sito senza rispettare la legge italiana che prevede che sia indicato il titolare (in questo caso, a leggere la risposta, sarà il Comune di Genova che quindi è responsabile al 100% del sito) e senza rispettare i requisiti minimi di accessibilità previsti. Un sito fuorilegge che “sarà messo a regola al più presto”. Sono passati due mesi e nulla. Meno male che si pubblicizza un esempio dell’eccellenza digitale italiana (nelle parole del fondatore dell’Associazione Digital Champions). I link ai credit e all’accessibilità a me non vanno, magari siete più fortunati… e vi spiego perchè non vanno: se un Comune riceve da privati cittadini pagine web già fatte (per usare una citazione molto di moda, “in forma gratuita e volonaria”) con WordPress e le “ospita” su un proprio server, dovrebbe quantomeno assicurarsi che testi, codice, immagini siano a norma di legge. Speriamo almeno che i diritti delle immagini (ad esempio questa) siano stati acquisiti. In fondo un Digital Champion lo sa, no?
Per altro, ospitare un sito sul proprio server oltre alle implicazioni legali ha dei costi, magari minimi ma pur sempre costi: chi sta pagando? E’ stato fatto un bando o basta presentarsi al Comune di Genova con pagine WordPress e un progetto per avere ospitalità e “scaricare” sul Comune la responsabilità legale di quanto scritto nelle pagine?

Ho finito, per lo meno sui due unici episodi in cui ho provato a fare una critica ragionata di due iniziative specifiche. Provo però ad allargare il tema con alcune note di metodo e merito relative al progetto Digital Champion. E’ un dibattito vivo e interessante, quello sullo storytelling e sulla necessità che tutto sia trasformato in una storia “vendibile” al lettore o, come nel caso Associazione Digital Champions, ad una serie di soggetti della filiera (tra cui i politici: nel prossimo giro di poltrone, chi si sarà accreditato a sufficienza come “massimo esperto di” potrà ambire ad una poltroncina pubblica o magari a qualche consulenza strapagata). E di storie ne sentiamo dall’inizio: dal “siamo tutti bravissimi e cambieremo il Paese” alla storia della startup che trasforma l’acqua in vino, dalla socia campionessa digitale dodicenne alle lodi sperticate che l’Europa sta tessendo al Campione Digitale italico. E potrei continuare per ore, perchè di storie più o meno vere e più o meno spendibili ne sono state costruite tante. Il problema è che con un minimo di spirito critico e fact checking, la storia da sola non riesce a reggere. Perchè nel Comune X una dodicenne dovrebbe essere più titolata di un professionista 45enne? Perchè la startup che non ha fatturato nemmeno un euro merita più spazio dell’azienda già avviata? Perchè il campioncino digitale di turno dovrebbe avere un rapporto privilegiato rispetto a decine di persone che sul territorio da anni fanno volontariato senza secondi fini ? La risposta è semplice: perchè il professionista 45enne, l’azienda già avviata e il volontario del digitale non fanno notizia, e non sono asserviti al progetto comunicativo nel complesso.

Come risolvere? Ecco le proposte concrete:
fondare un’associazione che ha lo stesso nome (anzi, con una ‘s’ in più) di una carica istituzionale crea solo confusione. La carica istituzionale non è “distribuibile”, per cui il “Digital Champion della città XX” non esiste. Punto. Senza se e senza ma. E quelli che mettono la dicitura sul proprio profilo LinkedIn sono ridicoli. E lo è chi alimenta il gioco. E lo è chi lo sfrutta per fini personali. L’invito qui è semplice: “socio dell’associazione Digital Champions” è l’unica dicitura possibile, per quanto moralmente discutibile vista la quasi-omonimia con una carica istituzionale (l’associazione “Prefettos” con carica di “Prefetto di Torino” potrebbe esistere?).
avere persone che non sono autorizzate ad agire in nome e per conto dell’associazione (attività espressamente vietata dall’Associazione Digital Champions come si legge nei documenti costitutivi) e che si presentano ai rappresentanti della pubblica amministrazione come “Digital Champion di città XX” è ancora peggio. Non solo per eventuali profili di illiceità, ma anche per la credibilità che si può attribuire ad una persone che parla a nome e per conto di un’assoazione senza averne titolo e che usa un titolo inesistente per accreditarsi. la proposta anche qui è semplice: o si parla a titolo eprsonale, o ci si fa delegare formalmente dall’Associazione. Sempre che il Presidente abbia voglia di conferire deleghe… e rischiare di perdere il controllo in un contesto più democratico.
l’ammissione all’Associazione è fatta a insindacabile di giudizio di Riccardo Luna e (forse) pochi altri. Non si sa quali siano i requisiti per poter entrare, già questo crea un’evidente stortura nel principio dell’associazionismo. Quante associazioni conoscete che non dicono cosa serve per entrare nell’associazione? Magari vi viene in mente qualche club esclusivo, ma anche lì avrete requisiti rigidi (30 milioni di euro in banca e meno di 35 anni ad esempio) ma pubblici, chiari, trasparenti e pubblicizzati. Soluzione? Pubblicizzare i requisiti per essere soci e rendere trasparente la scelta.
i soci son tutti uguali ma qualcuno è più uguale degli altri. Eh già, prendi un gruppetto di fedelissimi e solo dopo “apri” ai terzi, con ruoli e poteri diverissimi. Le caste indiane, a confronto, sono strutture da dilettanti. Soluzione? L’associazione sia orizzontale, senza soci di classe A e soci di classe B.
accetta donazioni da aziende private, ma non rende pubblico quanto, perchè, a chi vanno, a cosa servono, come vengono spesi. Se siamo d’accordo sul fatto che un’azienda dà soldi per avere ritorni, allora la trasparenza è un pre-requisito specie se l’Associazione è emenazione di una carica istituzionale. Soluzione? Pubblicare chi versa i soldi e come vengono spesi, con un resoconto dettagliato e pubblico. In fondo se si sfrutta una carica istituzionale pubblica per raccogliere soldi in un’associazione privata, il minimo è essere trasparenti. Non so cosa sia il “partner fondatore”, come è stata definita Telecom Italia durante la presentazione del progetto. La proposta è che sia chiarito, senza ritardi.
– racconta di risultati straordinari a livello europeo con decine di paesi in fila per copiare il modello italiano. Salvo poi scoprire che nei verbali delle riunioni dei Digital Champion europei (per altro all’ultima riunione il rappresentante italiano non c’era nemmeno…) non c’è alcun cenno a tali risultati, apprezzamenti, e quant’altro. Perchè va bene lo storytelling, ma anche un po’ di fact checking serve sempre. Non che il modello sia errato a priori, ma da lì a dire che l’Europa si spella le mani ce ne passa. Soluzione: rinunciare all’hype ed essere più realisti, raccontando storie più vicine alla realtà.
– notizia recente è quella dei Digital Supporter: altra sfaccettatura non prevista dallo statuto dell’Associazione. “E quindi queste persone se lo vorranno saranno comunque parte del progetto e della rete: non campioni digitali, ma supporter. Tifosi, aiutanti, prima di tutto del campione digitale del comune per il quale hanno fatto domanda”. In sostanza su 8mila soci promessi e pubblicizzati ne sono stati individuati 1500, ma se ne vogliono aggiungere altri (soci? sub-soci? bollinati senza far parte dell’associazione? volonari senza feluca? non si capisce…). La cosa curiosa è che ci sono casi in cui il comune non ha un socio individuato come Digital Champion del Comune X ma sul sito dell’associazione il “Digital Supporter” di quel comune c’è. C’è il mozzo ma non lo skipper… curioso no? E, altra cosa curiosa, alcune persone che erano “candidate” come rappresentanti dell’associazione si ritrovano senza saperlo supporter (senza averlo chiesto e senza sapere cosa singifichi).
– Viviamo in un’epoca in cui, specie in un’Italia ubriacata dal berlusconismo, vince a chi la spara più grossa. In un Paese con il 42% di analfabeti funzionali (studio OCSE del 2009), ovvero persone che nonostante l’alfabetizzazione e scolarizzazione non sono in grado di comprendere un testo, fare il titolone corto e ad effetto funziona, quello rimarrà in mente. Dovevano essere 8mila soci (grandi titoloni sui giornali, ricordate?), uno per ogni comune d’Italia, e ce ne sono a malapena 1500: che è successo? Comuni in cui è arrivata la candidatura (e magari più di una) e che oggi non hanno un socio per quel comune. Perchè? Non sono abbastanza capaci? O semplicemente non sono allineati? Se i requisiti per entrare nel club fossero pubblici non avremmo questi dubbi…
– ci sono state diverse interrogazioni parlamentari sulla vicenda, che presenta lati oscuri non secondari e non banali. Quando avremo le risposte? Facile dire “deve essere il ministro a rispondere”, perchè quella è la parte istituzionale ma nulla vieta che le risposte siano date dai diretti interessati : una intervista in meno, una risposta in più.

Credo che alla luce di quanto sopra descritto, serva una riflessione sulla natura di certi progetti, sul come nascano e perchè, senza relegare le osservazioni a mera invidia o farne una questione personale. Far crescere il digitale in Italia vuol dire anche farlo crescere sano, in un contesto di regole chiare, di processi definiti e pubblici, di obbiettivi chiari e concreti, di assenza di secondi fini. Sono un convinto supporter del digitale a tutti i livelli, da anni, in qualsiasi attività professionale e privata. Non mi ritrovo però nelle modalità di gestione di chi dovrebbe avere il compito istituzionale di diffondere il verbo. E non sono solo, tra chi lo può e vuole dire pubblicamente (un gruppo Digital Minions su Facebook, ad esempio) e chi per paura di ritorsioni (già, le persone sanno essere cattive, se gli tocchi la poltroncina) lo può esprimere solo in privato.

Lancio allora un appello-richiesta a Riccardo Luna: ho messo una decina di azioni concrete e realizzabili un poco tempo per migliorare il progetto Digital Champions, in particolare la sua trasparenza. Mi rendo disponibile ad affinare le idee e proseguire il confronto. Per farlo, però, serve che ci sia la voglia di cambiare, e di cambiare in meglio.