Ho sempre pensato che i veri flash mob, raduni improvvisi di persone che vogliono rompere con la quotidianità, fossero qualcosa di spontaneo. Tam tam in rete o via SMS, pochissima pianificazione a priori, nessuna connotazione politica, religiosa o sociale nei partecipanti.

Poi il marketing ha scoperto i flah mob. Quelli di un noto operatore telefonico fisso e mobile, ad esempio, organizzati da un’agenzia di eventi, annunciati con comunicati stampa e iniziative pubblicitarie ad hoc, pianificati fin nel dettaglio, rilanciati attraverso un film per adolescenti. Più che spontaneo, ‘spintaneo’.

Invece di chiamarlo evento o manifestazione, si chiama flash mob? No, ci sono gli smart mob teorizzati da Rheingold, al limite si può parlare di adv mob se non si vuole chiamare ‘evento’. Ecco perchè quando leggo su Twitter “Piazza del Popolo della Rete, stanno progettando un flashmob a Roma per Internet for Peace http://www.wired.it/i4p” (@riccardowired, direttore di Wired Italia) la domanda sorge spontanea: “Progettare un flash mob” non è una contraddizione in termini?