Scrive Il Fatto:
L’Enel non acquisterà più spazi pubblicitari sul Fatto Quotidiano. È la ritorsione per un articolo sgradito. Ce lo ha fatto sapere per iscritto l’Ufficio Stampa dell’Ente. Ne prendiamo atto. Grazie a vendite e abbonamenti, non dipendiamo dalla benevolenza dei signori della pubblicità. Non scriviamo sotto dettatura.
Preoccupa che la pubblicità non serva a promuovere un prodotto, ma ad addomesticare l’informazione. Troppi giornali, grandi e piccoli, sono tenuti in soggezione dagli investimenti pubblicitari. Troppi giornalisti scrivono con il timore di provocare un danno economico che l’editore non perdonerebbe.
Che ne pensate?
UPDATE 28/10/2010
Come prevedibile, Enel smentisce sè stessa dopo il gran polverone sollevato dal caso Il Fatto.
Penso che ormai è così dappertutto. E penso che ci vorrebbe la pubblicità contestuale anche sui giornali di carta.
La pubblicità che si adegua ai contenuti, non il contenuto che si adegua alla pubblicità o a chi la paga.
L’invenzione del secolo in ambito pubblicitario IMHO.
Penso quello che pensa Napolux.
Oggi troppo spesso i giornalisti sono costretti a marchette anche quando non vorrebbero oppure a non parlarne perché scomodo, perché nel giornale, quotidiano, rivista, freepress (ancor di più) chi detta le regole è chi paga e spesso chi paga non è tanto l’editore (che ci mette la sua parte) ma l’azienda che fa pubblicità. Anzi spesso in alcune realtà non c’è nemmeno l’editore o meglio i giornalisti sono editori di loro stessi.
In fondo l’editore investe in un prodotto/progetto che reputa interessante ma comunque cerca introiti e guadagni mensili, questi guadagni li ottiene se qualcuno acquista pubblicità. Altrimenti che investimento sarebbe?
Secondo me ci sono due problemi alla base:
Il 1° problema non è tanto della redazione, ma dei commerciali non istruiti a dovere a saper vendere un prodotto che più è indipendente e maggiore sarà la sua autorevolezza e quindi a dare le giuste notizie.
Il 2° problema è che spesso troppo spesso i giornalisti non raccontano fatti, interpretano i fatti. E interpretare i fatti fa passare un opinione e le opinioni sono personali e non dovrebbero far parte del bagaglio del lavoro dei giornalisti. L’opinione la dovrebbero esprimere oltre il loro lavoro.
I giornalisti spesso prendono i comunicati stampa e pubblicano di sana pianta senza modificare una virgola e poi ci mettono la loro firma, mentre il comunicato enfatizza o promuove tal oggetti o azioni.
I giornalisti che invece non si vorrebbero adeguare si ritrovano come nella situazione al principio del commento.
Quindi giocaforza si adeguano.
Magari sbaglio però vorrei averne la conferma
ciao
MAX
propongo un secondo punto di vista: l’investitore pubblicitario ha i soldi e investe quei soldi dove ritiene opportuno. se l’editore basa il proprio modello di business sulla pubblicità, sono gli investitori pubblicitari a poter ‘dirigere’ il giornale. no?
Ok la proposta potrebbe essere anche interessante, ma ora declinala, peffavore. 🙂
Giusto per capire, ma a quel punto qual è la differenza tra editore e investitore? Ovvero, l’investitore diventa editore!
Altro problema: immagina due competitors, stesso mercato, stesso potere contrattuale, che fanno si auto mettono all’asta a rialzo-ribasso la pubblicità? Quindi a quel punto editore (quello vero) diventa un arbitro, un battitore d’asta?
attendo … 🙂
l’editore teoricamente fa un prodotto informativo, l’investitore fa altro e lo pubblicizza. però se il primo dipende dai soldi del secondo, in realtà l’editore ‘vero’ è il secondo, no? il corriere della sera ha una serie di soci che sono lì non per fare business, ma perchè attraverso il corriere ottengono altri ritorni e altre possibilità (ad esempio il ‘controllo’ delle opinioni).
sulla seconda, ovviamente è già così: chi ha più soldi è trattato meglio dagli editori. ti sei mai chiesto ad esempio perchè su italia oggi articoli (o meglio finti articoli, sono publiredazionali camuffati) di voda e wind a bizzeffe? tipo che quando esce un’offerta o la nuova pubblicità te la raccontano ogni volta dettagliatamente?
Vero, ma non spieghi come fare business, o io non l’ho capito.
Le famose marchette mascherate da interviste. Molte riviste che oggi vogliono essere sul mercato fanno questo, purtroppo dico io. Il problema è quello di chi oramai conosce il sistema, con quale motivazione si fa fare un articolo così sapendo che avrà quale ritorno…
Chi legge quel tipo di giornale sono comunque persone che sono all’interno di aziende o liberi professionisti che nella stragrande maggioranza dei casi sa che funziona così. Secondo me sono soldi buttati perché non riesci a far cambiare opinione se già chi legge sa che quello che c’è scritto è una bella e buona pubblicità mascherata.
Un qualche ritorno è possibile su riviste che si rivolgono anche a non addetti ai lavori. Allora si riescono ad intortare per benino i malcapitati.
Oltretutto scrivere di prodotti sotto falsa intervista dovrebbe essere illecito da codice deontologico giornalistico, giusto? E per legge ci dovrebbe essere scritto pubbliredazionale.
L’ENEL deve vendere le azioni della sua controllata che si quota in borsa, ha quindi un budget elevato da spendere in tempi brevi. Dal suo punto di vista è razionale selezionare gli inserzionisti per non avere critiche o analisi di quello che ti deve vendere.
Il fatto è un giornale che ha come business model quello di vendere copie, cosa che lo porta ad essere impermeabile ai suoi inserzionisti; altri giornali un po’ meno basta ricordare il caso della recensione del ristorante di D&G su un importante giornale nazionale
Se accedi ora alla pagina de ilfattoquotidiano.it c’è il rilancio della sua campagna abbonamenti che in modo forse poco etico cavalca la notizia (sembra quasi fatto ad arte). Da qualche parte ho letto che Enel ha smentito la notizia del suo ritiro dalla testata. Non ho letto nessuna replica del quotidiano. Forse Enel pagava poco? Chissà, a volte a pensar male…
alex, hai per casop il link della smentita enel, così da aggiornare l’articolo? non ho trovato nulla ma se esiste ovviamente ne diamo conto!
@maxfabrizi: non spiego come fare business perchè non sta a me dirlo 🙂 la mia osservazione riguardava il fatto che l’editore dipende dall’inserzionista e l’inserzionista ha tutto il diritto di spendere i soldi dove vuole e dove crede sia opportuno. il terzo incomodo, il lettore, potrebbe dare l’indipendenza al giornale solo se accettasse di pagarlo di più e sostenerlo economicamente, ma non mi pare che questa strada stia in piedi oggi (e in passato pochi ci sono riusciti)
ok, quindi lanci il sasso e ti nascondi! 😀
Certo che non sta a te Massimo ma visto che nel primo commento al post scrivevi un altra possibilità ma non spiegavi il perché, io mi domandavo ad alta voce come sia possibile un business come lo hai pensato.
Per il fatto che invece oggi il lettore non abbia voglia di spendere di più, (che è vero, da quanto si percepisce) io credo che una possibile soluzione siano le piccole testate perché più snelle e adattabili. I grandi gruppi sono come grandi elefanti che in questo momento si muovono in una stanza piccola e piena di cristalleria.
no, è che i modelli di business non sono infiniti 🙂
o fai pagare il lettore (che oggi non pare disposto a pagare) o fai pagare gli inserzionisti (che a quel punto decidono dove investire non in base ai lettori, ma in base al giornale e a quello che dice: perchè sotenere un editore che parla male di te?). non vedo molte alternative!
Vedo che passa il tempo e tutto rimane vecchio, come prima. Ho cercato un vecchio tuo post (https://www.maxkava.com/2008/10/come-lucrare-fregando-google/) e ripreso in un altro (https://www.maxkava.com/2008/12/multa-per-il-mondo-e-vodafone-la-finta-rubrica-e-pubblicita-occulta/) in cui mostravo lo screenshot di una evidente pubblicità di Vodafone sul sito di Repubblica (http://img241.imageshack.us/img241/6007/pubblicitoccultavodafonkn6.jpg) spacciata per informazione. Segnalata all’Antitrust non è stato poi fatto nulla.
Questa è la situazione, vecchia come ieri ma non dissimile da quel che sarà domani: i poteri forti sono quelli che hanno i soldi e difficilmente si riesce a parlare scrivendo ciò che si pensa, si rischia la presunta calunnia che comunque, anche a ragione, porta via tanto tempo e denaro.
Un plauso al Fatto Quotidiano che ha saputo gridare allo scandalo e ben venga la sua voce fuori dal coro di quaraquaquà.