Il lungo post di Vittorio Zambardino sul futuro dei giornali a pagamento e’ tutto da leggere: il tema, affrontato anche dal convegno cui sono stato nei giorni scorsi, occupera’ per tutto il 2010 molte pagine e catalizzera’ molta attenzione.

Mi pare che i giornalisti italiani siano concordi: e’ con il giornalismo di qualita’ e la sperimentazione che gli editori devono convincere i lettori a pagare per l’informazione digitale. La stessa Google – che ovviamente ha tutte le ragioni per mantenere free il sistema considerando che guadagna dal traffico generato – sostiene che i ‘paywall’ non funzionano.

“Pay walls, such as the New York Times’ plan for a metered approach to charging users, wont’ work. It’s too easy to bypass”.

Lo stesso Zambardino si dice d’accordo: I dispositivi possono funzionare perché non si paga per unità di contenuto ma per l’esperienza e l’utilità generale che se ne trae: portabilità dell’informazione, sua accumulabilità in un solo dispositivo (la mazzetta o la propria selezione personale dei giornali dentro un solo “coso” e per giunta navigabile). Potrebbe funzionare, se “esperienza” e non “unità di contenuto” è la parola chiave (per il semplice motivo che si paga per qualcosa che non si puo’ ottenere altrimenti). “

Eppure i due maggiori quotidiani italiani sembrano aver scelto proprio il paywall, almeno su iPhone: le application dedicate sono a pagamento, per cui chi vuole leggere il quotidiano tramite iPhone deve pagare (l’app de LaStampa, almeno per il momento, e’ gratuita).

A breve, gli stessi quotidiani renderanno a pagamento anche l’accesso da altri device mobili, siano essi cellulari o e-reader con accesso 3G: chi visita il sito del Corriere o de La Repubblica da una connessione mobile arrivera’ al paywall. Chi sceglie di sfogliare il giornale on line, insomma, paghera’. E’ una scelta degli editori, con ricadute sui gestori di connettività che si troveranno a dover fronteggiare le lamentele dei propri utenti: per il cliente il paywall lo mette l’operatore, mentre nella realtà lo mette l’editore.

E’ evidente che si tratta di un primo passo, si inizia da iPhone e cellulari solo perche’ la tariffazione dei contenuti e’ molto piu’ facile rispetto alla open Internet. Si arrivera’ anche alla tariffazione di Corriere.it e Repubblica.it versioni classiche? Probabilmente si’, appena gli editori avranno capito come addebitare il tutto in maniera facile. Senza dimenticare che i lettori dovranno ovviamente anche pagare il traffico Internet per raggiungere i giornali on line, a meno di accordi tra gli editori e i provider.

E’, o almeno sembra nelle idee degli editori, il declino del modello “notizie gratis remunerazione da pubblicita’”? Il traffico ariva da meteo, sport e notizie, ma le transazioni economiche on line riguardano principalmente viaggi ed e-commerce. Il tell&sell, insomma, su Internet funziona meno che altrove.

Tre allora i temi da tenere sott’occhio:

la qualita’ dell’informazione (pago solo se ho valore)
la possibilita’ di far pagare (pago solo se e’ facile farlo)
il prezzo (la meta’ dei costi del giornale e’ data dalla carta e solo il 35% dei costi e’ dato dalle attivita’ editoriali e amministrative, se oggi in edicola pago 1 euro il giornale completo forse dovrei avere la stessa versione on line ad un terzo del prezzo).

Ma davvero questo e’ l’unico modelo di business esistente?

Granieri giustamente fa notare che la battuta di De Bortoli potrebbe non essere una battuta perche’ certe rivoluzioni favoriscono il nuovo arrivato: «Pensate alla TV commerciale che, a suo tempo, nessun editore è riuscito veramente a fare. Ci è riuscito Berlusconi, che non era un editore».